Per gran parte della mia vita non ho mai amato la poesia. Vi svelo di piu: per gran parte della mia vita l’ho odiata. Per me, poteva non esistere e forse mi sarei sentito meglio. Poi, a 16 anni, ci fu la Morrison-age, e pensai quasi di aprirmi alla poesia, ma non potevo forzarmi ad apprezzare qualcosa se davvero non mi prendeva e se davvero non mi sentivo di farlo. Così, in quel periodo non accadde nulla. Una forzatura, questo fu il mio tentativo di apertura. Poi, verso i 17 anni, conobbi una ragazza e in quel periodo arrivai a conoscere alcune poesie di Baudelaire, che avevo solo vagamente sentito nominare. Sembrò accendersi una scintilla, una di quelle che provengono dall’accendino quando si prova ad accenderlo. Ma quella scintilla non l’ho mai alimentata: pur sforzandomi, e pure un altra volta, davvero la poesia non faceva per me. E quella scintilla rimase, appunto, una scintilla, nient’altro che un bagliore infinitesimale vissuto e morto su sè stesso. Durò un attimo, apprezzai una poesia e finì lì. Poi passarono gli anni.
Lo scorso anno, grazie ad un film visto a noleggio, conobbi una poesia, che all’interno della pellicola trovava sfogo in due scene distinte. Documentandomi, ho poi scoperto che quei versi implementati nel film risultano essere parte di una poesia di Dylan Thomas apparsa originariamente nel 1951, e scritta come villanelle, una forma poetica a 19 versi. Questa poesia è diventata la mia apertura verso la poesia stessa. Quella sorta di piccola attrazione che non era mai riuscita a sbarcare, e non lo dico perche doveva accadere per forza. Il film in questione, invece, è il magnifico Interstellar di Nolan, che ha veicolato in tempi contemporanei questa bellissima composizione poetica, riproponendola, dopo che l’ultima apparizione della poesia, all’interno di un film, risaliva al 1986. E così che dopo anni di indifferenza verso questa forma di espressione del tutto personale, è successo che, con una poesia, piu precisamente con pochi versi, ho finalmente potuto dire si, la poesia mi piace.
Dopo quanto successo, mi sono chiesto perchè questa poesia sia riuscita a fare breccia nel mio cuore mentre la poesia in sè, lungo il corso della mia vita, no. E ho trovato la risposta: nessuna poesia, prima di questa di Dylan Thomas, aveva mai davvero significato qualcosa per me. In nessuna poesia prima d’ora ero mai riuscito a riscontrare me stesso. In nessuna ero riuscito a rivedere me stesso, e nessuna poesia era mai davvero riuscita ad entrarmi dentro, a dirmi qualcosa che mi fosse comune, a comunicare qualcosa in cui potessi rivedere me stesso, a esprimere qualcosa che per significasse qualcosa che mi toccasse personalmente. Milioni e milioni di versi e nessuna parola mi aveva mai davvero toccato nel profondo. Questa poesia ce l’ha fatta: ha aperto quella porta rimasta chiusa per tantissimi anni, facendo quello che nessuna poesia era riuscita a fare.
Oggi il mio rapporto con la poesia è tranquillo, ed è fatto di apertura, un apertura graduale che ha generato apprezzamento e, al momento, un interesse. Non mi dispiace; devo dire che mi ci relazione maggiormente e in modo meno sofferto rispetto al passato. La poesia del poeta gallese ha fatto nascere un affinità che non era mai accaduta prima. Il suo verso “rage, rage, against the dying of the light” mi ha comunicato qualcosa; ho trovato un verso poetico dove posso riconoscermi, che mi dice qualcosa di fatto, non di astratto, simbolico, ma di pratico, dopo milioni di versi che per me erano parole morte, significative per chi le ha fatte, ma stoiche al contatto col sottoscritto. La poesia di Dylan Thomas è senza dubbio la mia preferita di tutti i tempi. Ha qualcosa che tocca il mio intimo e il mio vissuto privato. Mi ha, insomma, toccato personalmente. Qui di seguito, presento il testo, rigorosamente in originale.
Dylan Thomas – Do not go gentle into that good night | 1951
Do not go gentle into that good night,
Old age should burn and rave at close of day;
Rage, rage against the dying of the light.
Though wise men at their end know dark is right,
Because their words had forked no lightning they
Do not go gentle into that good night.
Good men, the last wave by, crying how bright
Their frail deeds might have danced in a green bay,
Rage, rage against the dying of the light.
Wild men who caught and sang the sun in flight,
And learn, too late, they grieved it on its way,
Do not go gentle into that good night.
Grave men, near death, who see with blinding sight
Blind eyes could blaze like meteors and be gay,
Rage, rage against the dying of the light.
And you, my father, there on the sad height,
Curse, bless, me now with your fierce tears, I pray.
Do not go gentle into that good night.
Rage, rage against the dying of the light.
Be gay?? Rage against the gayness
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E dove l’hai letto “be gay”?
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