La mia esperienza di capodanno a Medugorje: agghiaggiande!

Due mattine dopo Natale, alzatomi ed avvolto nelle atmosfere del Tempo Natalizio, ho ricevuto il messaggio di un mio amico della Puglia.

“We Fabio. Io vado a Medugorje per capodanno”

Colpo di genio!

Perchè non racconto la mia agghiaggiande esperienza (come direbbe un certo allenatore nostrano…) di quello che ho vissuto a Medugorje, a capodanno, in passato?

Esperienza agghiaggiande!

Ma certo… eccomi qua. Sono stato a Medugorje, per capodanno, due volte. In entrambi i casi ci sono stato con il gruppo giovani della Chiesa di San Camillo di Genova (quella dinanzi il Tribunale!), denominato, se ricordo bene, gruppo giovani “Maria Regina della Pace”… ah, che bel gruppo che era. Bellissimi ricordi, bellissimi momenti, bellissime esperienze, bellissime amicizie… tutto, tutto, tutto bellissimo. Oggi, il gruppo, non esiste più, anche se i giovani che ne facevano parte – me compreso – continuano il loro cammino con Gesù e Maria (perlomeno è quello che mi auguro e che auguro ad ognuno di loro!).

Il mio primo impatto con il binomio Medugorje-Capodanno, giunti al 30 di dicembre, fu la leggera differenza meteorologica e atmosferica con l’inverno italiano. Non era, logicamente, la Medugorje che avevo vissuto d’estate ma nemmeno la Medugorje da me vissuta a novembre. Era la famigerata Medugorje post-glaciale che nemmeno il Polo Nord; tanto era il freddo, che potevo quasi scorgere Babbo Natale con le renne volarmi sopra la testa.

Scesi dal pullman trascinando con me le esperienze dei caldi d’estate da 47°, l’inverno medio di novembre e le temperature primaverili, pensando “ma si dai, non ci sarà così freddo, si potrà fare… anche se siamo a dicembre, sarà un freddo normale”.

Appena sceso, venni colto da una temperatura proto-glaciale capace di gelarmi stile statua di sale durante la distruzione di Sodoma e Gomorra. Fu tremendo: un freddo come non ne avevo mai vissuti. Improvvisamente mi chiesi “ma chi me l’ha fatto fare di dire si al gruppo? Potevo starmene a casa”. Tanto era il gelo osseo che dovetti bombardarmi di maglie (due alla volta), felpe, giacche, doppie calze, coprendo il più possibile ogni singola parte del corpo. Ad ogni passo il rischio congelamento aumentava del 5%.

In albergo c’era il classico sbalzo di temperatura interno/esterno: fuori c’era l’era glaciale V, dentro la spiaggia di Rio de Janeiro. All’entrata bisognava che mi sfilassi la doppia maglia, la felpa, il giubbotto, i guanti, il cappellino. All’uscita dovevo re-inserirmi tutto l’inventario. Questo sbalzo trasformava la sala d’accesso, il salottino d’entrata, in una sorta di spogliatoio pubblico, con persone che si svestivano e vestivano – me compreso – come fossero gli spogliatoi di calcio.

La camminata dal Podbrdo alla Chiesa di San Giacomo è tutta condizionata dalla possibilità di morire congelati da un momento all’altro — potreste giungere a San Giacomo trascinandovi su un solo piede o con le mani in fase di congelamento avanzato. Potreste abbassarvi a guardarle e vedere due ghiaccioli d’inverno. Per sciogliere le dita e poterle di nuovo muovere, potreste avere bisogno del falò del 14 agosto.

Essendo il periodo più freddo dell’anno, è anche quello con il minor afflusso di pellegrini al mondo. Questo significa che raramente vedrete tracce di vita organica senziente lungo le stradine del villaggio. Potrete vedere i negozi chiusi alle 15 del pomeriggio e aperti verso le 10 del mattino. Anche i gatti saranno difficili da vedere, che invece d’estate sono ben presenti, sparsi e accovacciati in un qualche angolo del villaggio in attesa di concretizzare il loro piano di conquista del posto. Di sera lo spopolamento è totale: il villaggio è nudo, chiuso e spento, nel silenzio invernale più totale. Ottimo come contesto di sola preghiera, silenzio e meditazione.

La salita del Podbrdo è semplice come d’estate con l’unica differenza che ad accompagnarvi non sarà il caldo ma il gelo invernale. Tuttavia, salendo vi riscalderete e riscaldandovi il freddo percepito diminuirà – ve lo assicuro. Questo vi renderà la salita, che non è un arrampicata, meno difficile di quel che si pensi. Se poi ha piovuto, preparatevi al fango, per cui portatevi scarpe invernali adeguate. Certo, se lungo il cammino farete molte fermate, sopratutto in virtù della Via Crucis, allora la questione dell’aumento del calore e della diminuzione del freddo percepito sarà ben differente e potrebbe subire delle variazioni.

L’apparizione del 2 è popolata da un numero di fedeli ristretto e limitato, e ciò lo dico in senso positivo (e non che al contrario non lo sia, eh). È un apparizione pubblica quieta e intima, all’opposto di quelle che avvengono d’estate che sono invece popolate in sovrannumero tipo finale da stadio. È sorprendete constatare quante poche persone ci siano rispetto alle apparizioni del 2 di primavera o estate: questo dona un atmosfera più di intimista. Ve ne sono talmente pochi, di fedeli, che quasi si potrebbe entrare e uscire dalla collina nemmeno se si stessero varcando i limiti di un campo di calcio.

Il programma liturgico inerente l’ultimo dell’anno, il 31 dicembre, è interamente incentrato all’interno della Chiesa di San Giacomo ed è tra i più lunghi, intensi e impegnativi che la parrocchia affronti lungo l’anno e non tiene molto conto dei limiti umani di natura fisiologica. Se il freddo è moderato: le cose avvengono all’esterno con proiezione all’interno. Se il freddo è alto: le cose avvengono all’interno con proiezione all’esterno.

Il programma inizia intorno alle 15 e si chiude all’1 di notte ed è così costituito: rosari, catechesi, Coroncina della Divina Misericordia, momenti di pause alterni di circa 30 o 60 minuti, compieta, lodi, canti, l’Adorazione del Santissimo ed un totale di circa tre Sante Messe: la Santa Messa del giorno in orario serale (ore 18.00 o 19.00), la Santa Messa di conclusione dell’anno (con inizio intorno alle 23.00 e conclusione a mezzanotte) e la Santa Messa di capodanno, che avviene subito dopo mezzanotte e si chiude all’1, seguendo quindi quella di fine anno di pochi minuti – tutto questo “all’incirca”.

L’ultimo dell’anno, la seconda volta che ci andai, fu per me un calvario fisico e psicologico: entrato e sedutomi intorno alle 15.00 del pomeriggio, la Chiesa si riempì a un tal livello che, arrivati ad un certo punto, non ci si poteva più muovere in nessun modo. Non era possibile né spostarsi né alzarsi né uscire né entrare e né spostarsi di posto o di panca. Rimasi in modalità cozza compressa in una scatoletta di tonno schiacciata per tutto il tempo — con l’aggravante che dovevo andare in bagno e che, non riuscendo ad uscire per mancanza scientifica di spazio, dovetti trattenermi il bisogno fisiologico modalità ‘leggendario’ per tutto il tempo fino all’1 di notte: 10 ore di grande resistenza fisiologica, sempre fermo, nello stesso posto e nella stessa panca, senza mai spostarmi dallo stesso metro quadro, dalle 15 del pomeriggio fino all’1 di notte, circondato dalla più grande ressa interna in una Chiesa che abbia mai vissuto.

A questo si aggiunse un programma si bello ma, per me personalmente, pesante, in quanto sovraccaricato di contenuti fino ad esplodere, senza sosta, come se i fedeli fossero Terminator programmati per l’adorazione continua. Ognuno ha i suoi tempi ed ognuno ha le sue condizioni psicologiche e spirituali: c’è chi è predisposto, disponibile, in grado e pronto per farsi una full-immersion no-stop di 10 ore di Liturgia continuata e c’è chi invece riesce a sopportare a malapena 30 minuti di preghiera. C’è quindi chi può farcela senza grossi patemi e chi invece può avere un maggior grado di difficoltà con limiti di sopportazione da ricovero ospedaliero.

Quando andai, non ero di certo un Santo di Livello 9, essendomi pure convertito di recente, per cui ritrovarmi nel bel mezzo di una giornata liturgica senza fine, con soli due anni e mezzo di esperienza alle spalle e con difficoltà a conservare la quotidianità della preghiera per più di 20 minuti, fu un autentica esperienza-croce. Di quelle alle quali non sei ancora pronto. Ma ti capitano, non puoi fuggire e quindi devi affrontarle, crescendo con esse, così come ti vengono date.

Le difficoltà fisiche e mentali, perlopiù di sopportazione, si fecero tali che, ad un certo punto, iniziai ad offrire le mie sofferenze a Gesù per la conversione dei peccatori. Quel giorno stabilii il record europeo di sopportazione fisica e mentale, di resistenza di trattenuta fisiologica, di partecipazione ad un programma liturgico continuato e di immobilità fisica continuata senza interruzioni. Nessun altro, nella Chiesa, giunti all’1 di notte, era posizionato nello stesso punto tipo chiodo e da così tanto tempo come me. Probabilmente, qualcuno che mi ha visto alle spalle potrebbe avermi scambiato per un pupazzo del presepe abbandonato sulla panca.

Di contro, se non fossi stato in Chiesa, fuori non sarei mai potuto rimanere per il semplice fatto che il freddo percepito a -4°/-6° non rendeva granché fattibile l’idea di sedersi tra le panche esterne per guardare la Liturgia dagli schermi esterni (dato che tutto ciò che avveniva accadeva all’interno) come se fossimo in estate – pena la possibilità di trasformarsi in un freezer umano. La leggenda vuole che qualcuno ci abbia provato e che non sia mai più stato visto ritornare dalle panche presenti all’esterno.

Stare dentro era già di per sé difficile: stare poi all’esterno, in piedi e da fermi per me non era possibile in alcun modo – pena la trasformazione in statua di ghiaccio – e stare invece fuori con l’opzione “da seduto” era una missione da padre Pio per intercessione di Maria. In nessun caso, personalmente, sarebbe stato fattibile. L’esperienza varia di persona in persona: c’è quindi chi è riuscito nell’impresa, probabilmente con l’aiuto di qualche santo mistico.

La grande novità, fu che, passato l’anno e giunti a capodanno (1 gennaio), le condizioni meteorologiche si fecero, d’improvviso, completamente differenti, cambiando da un giorno all’altro: da una temperatura percepita stile Polo Nord passò a temperature europee perfettamente sopportabili, calme e moderate, con una media di 4°/6° giornalieri del tutto simpatici e quasi amichevoli se paragonati alle sferzate glaciali delle temperature pre-31. Sinceramente, interpretai questa inversione improvvisa come una grazia di Dio: dopo la sofferenza, dopo il calvario, arriva la Resurrezione.

Dopo la prova particolarmente ardua dell’ultimo dell’anno, sopportata e offerta fino all’ultimo minuto, giunge la grazia che toglie la Croce e dona la Gloria. Così interpretai questo cambiamento improvviso: quel giorno, che equivalse alla mia seconda volta di capodanno, soffrimmo tutti e fu dura per tutti; il giorno dopo, arrivò una grazia infinita: un tempo dolce, calmo e quieto, capace di dare pace a tutti e di rasserenare l’intero gruppo, sopratutto chi, come me, aveva patito e non poco a causa delle condizioni con variabili di differente tipologia annesse e connesse + grazie individuali per tutti. Insomma, una prova biblica per un risvolto altrettanto biblico.

Sono stato a Medugorje tantissime volte, di cui 2 a capodanno. Che dire, ne vale la pena andarci? Si, assolutamente. E per capodanno? Anche, ne vale la pena, sopratutto per il modo in cui il capodanno viene vissuto, ben differente da qualsiasi altra ‘concezione di capodanno’ presente nel mondo. È un capodanno medugorjano, peculiare, cristologico, mariano e ostico, come solo Medugorje può far vivere.

Solo vivendolo, sperimenterete le peculiarità e le grazie mariane predisposte per voi per questo periodo dell’anno. Può essere dura, ma è parte naturale della cosa. In conclusione, un capodanno forte, agghiaggiande, dove chi è con Gesù lo vivrà fino in fondo, fino alla raggiunta del Golgota, fino alla crocifissione spirituale e alla Resurrezione. Le grazie saranno innumerevoli. E per questo, dopo le difficoltà, le croci e i patemi, che tutti sperimenterete diversamente in modo unico ed esclusivo, sarà comunque un pellegrinaggio vincente.

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