Dalai Lama e la richiesta «succhiami la lingua». Quando un atto di pedofilia viene difeso dalla stampa

Chiedere ad un bambino di farsi «succhiare la lingua» è malato, è demoniaco ed è pedofilia. Dall’episodio accaduto il 28 febbraio, e divulgato solamente il 10 aprile, in cui il Dalai Lama ha chiesto ad un bambino di succhiargli la lingua, si possono ricavare una serie di segnali gravi sulla normalizzazione della pedofilia, disgraziatamente in corso e, direi, in ascesa nella realtà contemporanea. Poichè la Scrittura condanna fermamente il peccato e ci invita a dire sì sì, no no (Matteo 5, 33, 37), e poichè Chiesa insegna a condannare il peccato senza condannare il peccatore, riservando la condanna morale per il primo e lasciando il giudizio sul secondo a Dio, è importante prendere una posizione univoca e determinata sul fatto. La gravità è sia del gesto compiuto, segno manifesto di pedofilia e abuso su un bambino, sia della stampa generica, che ha inondato il web di articoli di difesa, minimizzando l’accaduto; e di quanto successo si debbono trarre una serie di conclusioni.

Anzitutto, il fatto che nessuno abbia detto né fatto niente, per il semplice fatto che ad aver compiuto il gesto sia stato il Dalai Lama; il ruolo sociale esercitato ha di fatto «giustificato» l’atto. Se dunque è uno qualunque, la gravità del fatto viene riconosciuta e la reazione nei confronti dell’accaduto non manca; se invece è un personaggio popolare, si fa finta di nulla, si manca di accusare la gravità dell’accaduto con ferma convinzione, si riduce la gravità del gesto, operando per una giustificazione morale dello stesso, e si reintegra la persona nell’opinione pubblica come se nulla fosse accaduto. È il Dalai Lama, dunque che vuoi che sia? Può capitare, scherzava, non intendeva. Con il santone popolare di turno, che sia d’oriente o d’occidente, che venga dalla musica o dal cinema, si usano tutta una serie di formulazioni retoriche atte a giustificare il gesto compiuto da qualsiasi accusa; chi invece enfatizza sulla gravità morale dell’atto viene definito «esagerato». Nella società del falso, tutto è concesso e scusabile se quanto accade deriva da un idolo generazione costruito dai media, comodo al potere imperante.

In secondo, il fatto che la stampa, corrotta e asservita ai poteri forti, non abbia fatto articoli di accusa contro l’atto, ma di difesa dell’atto; non si legge che il Dalai Lama abbia fatto qualcosa di grave, ma che si sia scusato per un gesto frainteso, differenza che ha del colossale. È stata distolta l’attenzione dal gesto alle scuse dell’autore di quel gesto. La stampa generica, minimizzando l’accaduto, ha invertito il senso percepito della gravità; chi, addirittura, ha trasformato quanto accaduto ad una “battuta infelice”, testuali parole, come ha fatto TgCom24, lo stesso servizio mediatico che mostrava immagini di videogiochi come sequenze di guerra in Ucraina. Focalizzare l’attenzione sulla difesa del personaggio, con conseguente riduzione dell’accaduto (che vuoi che sia, scherzava, e si è perfino scusato), è una tecnica di distrazione dalla gravità morale del fatto. Si sta cercando di far passare per normale ciò che di fatto non può essere normalizzato; ed è anche questa una forma di pedofilia normalizzata.

Un esempio di articoli pubblicati in concomitanza con la diffusione del video. Gli articoli di massa sono quasi del tutto uniformi, copia e incollati a vicenda – chi riporta è a sua volta riportato – di natura difensivista ed hanno tutti lo stesso oggetto nel titolo, “Il Dalai Lama si scusa”; c’è chi, all’estero, ha addirittura parlato dell’accaduto parodiando gli accusatori, come se chi accusasse di pedofilia fosse un complottista, un estremista o un membro del gruppo Qanon – vedere pedofilia è insomma segno di «estremismo complottista».

Sono state cambiate perfino le terminologie; nel comunicato rilasciato da Dalai Lama, il bambino è diventato uno “young boys”, l’accaduto è stato oscurato e si è invece parlato del “giovane ragazzo che aveva chiesto un abbraccio” – dunque la reazione era nei confronti di un ragazzo e non di un bambino, mentre la richiesta di «succhiare la lingua» è divenuta «un giovane ragazzo che aveva chiesto un abbraccio». Così è stato spesso riportato altrove, sia in Italia che – sopratutto – all’estero, con “bambino” sostituito da “giovane ragazzo” e l’enfasi mediatica posata sulle scuse della figura tibetana.

Si è infine manifestato l’automatismo proprio delle psico-sette e delle psico-religioni, dove il leader è idolo indiscusso ed in quanto tale tutti i membri ed i presenti, circostanti il leader, giacciono immobili, nel mutismo, nell’impotenza e nel passivismo assoluto: ogni reazione è proibita ed ognuno acconsente, pur senza necessariamente volerlo. È questo è tipico delle dinamiche psichiche da psico-setta. Nessuno, nemmeno i genitori del bambino presente, hanno reagito, rimanendo immobili e impotenti dinanzi l’accadimento del fatto. Immediatamente dopo il gesto, il Dalai Lama ha fatto una risata isterica, tipico segno di chi, consapevole della gravità situazionale, tenta di esorcizzare l’imbarazzo di cui si è appena reso conto.

Il fatto che l’abbia fatta egli stesso è segno che si sia reso conto da solo della sua stessa perversione, e che abbia poi voluto occultarla tra se e se mediante una risatina, e questo è uno dei tratti caratteristici di una personalità psicotica, che prima commette, poi si rende conto, ride, e poi continua come se non fosse nulla. Se il bambino avesse effettivamente toccato la lingua del Dalai Lama, si può scommettere che la conseguenza sarebbe stata una risata isterica collettiva, segno che si sta esorcizzando qualcosa che la coscienza riconosce come grave, ma che si cerca di rendere scusabile, dinanzi l’occhio vigile della morale interiore.

Chiedere di farsi succhiare la lingua è pedofilia, non è una “tradizione culturale del Tibet”, e minimizzare l’atto significa normalizzare la pedofilia. Viviamo in una società incapace di gridare “Al lupo!” quando occorre, che non protegge più i bambini e che non chiama più male ciò che è male e bene ciò che è bene; e perfino quando un uomo, di “alta” (o certa) caratura culturale, tira fuori la lingua dinanzi un bambino piccolo e gli chiede «succhiami la lingua», le persone ridono. E la stampa difende. Qui occorre che Dio faccia qualcosa, e al più presto.

Matteo 18, 5 E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me. 6 Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare. 7 Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che avvengano scandali, ma guai all’uomo per colpa del quale avviene lo scandalo!

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2 pensieri su “Dalai Lama e la richiesta «succhiami la lingua». Quando un atto di pedofilia viene difeso dalla stampa

    1. Difatti, tutto è passato, tranne la condizione dalla prospettiva del bambino. È stata valutata soltanto la prospettiva del Dalai Lama, le sue scuse para-culo, e “lo scherzo frainteso”, ma non è stato preso in considerazione il bambino nemmeno per scherzo. Dall’atto pedofilo alle scuse, ecco il passaggio per distrarre dall’accaduto; sono strategie di distrazione subdole, potentissime, agiscono nell’inconscio senza che il lettore se ne renda conto.

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