Recensione | 10 Cloverfield Lane

Eccoci dinanzi un film noleggiato e visto di recente in blu-ray. Film che potrei definire come il film-sorpresa della stagione. Quest’oggi l’oggetto di analisi sarà quindi 10 Cloverfield Lane. Ci troviamo di fronte ad un sequel inaspettato, giunto inavvertitamente e senza chissà quale campagna promozionale di supporto. Perchè a vedere un sequel di quel found-footage uscito ben 8 anni fà, nessuno ci sperava più ormai, nonostante erano in molti a chiederne a gran voce un seguito, non fosse altro perchè il filo narrativo del primo si concludeva senza concludersi, lasciando il risvolto dei fatti aperto e disponibile per un proseguo. E invece, alla fine, nonostante nessuno ci avrebbe scommesso una lira, il sequel lo han fatto ed è arrivato.

Vi dico subito che non siamo di fronte ad una ripetizione di quanto fatto precedentemente, ovvero ad un more-of-the-same della lezione originale. Niente found-footage. Niente shaky-cam amatoriale. Eppure, alcuni noccioli concettuali sono stati mantenuti, perlomeno nell’animo, ben persistenti nel pensiero logico che ha concepito e progettato questo seguito, di seguito trasmigrati in questo nuovo volume come i geni di un codice genetico che vengono trasmessi dal padre e si ritrovano nel figlio. E in quest’ultimo, per quanto differente come persona e psicologia, si può intravedere un sé pensante familiare. Si può quindi notare, così come nell’originale, e anche in modo ben stratificato nella massa celebrale da cui il film scaturisce, il concetto della fuga, della sopravvivenza e dell’evento improvviso (esattamente i tre concept-element del primo), che scardina con violenza il naturale proseguo esistenziale di una o più vite, proprio come accadeva nel primo. Ecco quindi una serie di legami parentali con il suo illustre prequel disposti nel linguaggio.

10clSolo che qui, a differenza del predecessore, il tutto assume una forma squisitamente solitaria, pacata ed intima, spostandosi verso una locazione isolata. Tre semi, quindi, che erano stati piantati come idee di narrazione per il contenuto del primo capitolo, che cercava di raccontare, di esprimere e di racchiudere dentro la propria scatola la sensazione di pericolo massivo e improvviso, la sensazione di distruzione e di perdita nonchè di deformazione della facciata sociale del mondo. Come se avessero cercato di riprendere e di raccontare il secondo primo di un ipotetica terza guerra mondiale. Quanto veniva espresso nell’originale era una metafora sul mostro. Il grande mostro che ha sconvolto l’America nel 2001. La pluralità di personaggi e la concatenazione di eventi che riguardavano la città nella sua interezza, che facevano caos e dipingevano un avventura di sopravvivenza e di fuga caotica e urlata, viene invece qui decimata, attraverso una diversificazione del concept, che vede il fattore caos sociale dell’originale precluso ad appannaggio di un più silenzioso, quieto ed intimo racconto, che vede in atto unicamente 3 protagonisti, soli e solitari all’interno di un abitazione dispersa. Quindi si passa dalla massa e dal caos alla solitudine e al silenzio. Ecco la reinterpretazione dei 3 semi nativi, reintegrati con una differente concezione.

pepeLa protagonista di questa pellicola è una giovane ragazza. Mora, carina, e non poteva che avere questi due “attributi”, visto che senza queste caratteristiche, i produttori l’avrebbero scartata, reputandola inadeguata per il test-screen. Ovviamente, ma torniamo a noi. Dicevo, c’è questa ragazza. Di lei non si sà niente. Non appena il film si apre, si vede solo lei che guida in uno sperduto tratto statale dell’America, durante la fascia notturna. Improvvisamente, mentre guida, viene investita da una figura sconosciuta e si riesce a vedere solo che l’investitore guida un veicolo di grossa cilindrata. Non appena l’incidente si consuma, la ragazza perde i sensi. Si risveglia in seguito all’interno una piccola stanza del piano sotterraneo di un abitazione privata, isolata e posta in campagna, legata al letto e impossibilitata dal muoversi. In un attimo, avviene l’incontro con l’uomo che l’ha rapita e portata lì sotto. “Per il tuo bene, eh”, asserisce lui. La ragazza si ritrova così prigioniera di quest’uomo che dice di averla tratta in salvo dopo l’incidente. Quest’ultimo asserisce che il mondo è stato colpito da qualcosa, un virus virale, un epidemia biologica, un invasione aliena, non si capisce, e che ormai non è più vivibile (in una notte?). Dopo averle raccontato ciò, l’uomo impone subito due piccole condizioni. La prima e che la causa è sua, e che lei, la ragazza, è un ospite. Potrà fare quello che vuole, attenendosi però alle sue regole. La seconda è che non potrà mai più uscire da quell’abitazione, e che dovrà rimanerci per forza fin quando questa epidemia che ha colpito il mondo, non sarà stata debellata. E per questo ci vorranno anni. Almeno 2.

L’uomo impone quindi la convinzione che fuori non si possa più uscire e che si è, di seguito, costretti a vivere all’interno di questa casa. Fuori, il contatto con l’aria, asserisce sempre questo “salvatore”, è mortale e toglie la luce dagli occhi in frazioni di secondo. Questa è la premessa narrativa da cui parte il plot. Pensate che la ragazza risponda Ok! Che bello! Come ce lo passiamo il tempo? No, niente affatto. Nutre dei dubbi, si chiede, si domanda, riflette. Perchè se esisti pensi, e se pensi puoi anche arrivare a capire che quanto ti raccontano non può per forza essere vero, che la realtà non è sempre come ti viene detta da qualcun’altro. Così inizia un cammino di ricerca, ricerca della verità, che troverà attraverso piccoli pezzi di puzzle sparpagliati all’interno dell’abitazione, e che dovrà comporre attraverso la sua personale facoltà di analisi razionale, il suo intuito logico e la sua ispirazione intellettiva. Capacità e qualità di cui è discretamente dotata.

460248_1L’opera offre una composizione della trama che usufruisce della precisa intenzione di rivelare i tasselli della sinossi attraverso un processo graduale, a poco a poco, tramite la progressiva espansione del corpo narrativo. Corpo che si potrebbe identificare simbolicamente con la tela di un ragno (chiara allegoria referenziale), ovvero la medesima che l’uomo ha costruito autonomamente per imprigionare al suo interno la ragazza (nonchè l’ospite comprimario della vicenda). Tutt’al più il film esprime una sorta di metafora sul ragno e sulla sua ragnatela, nonchè sulle modalità di cattura di questo ragno che si rivela essere custode della preda, ma anche suo potenziale carnefice, pur se non si riesce davvero a capire quanto il ragno in questione fosse in buona o cattiva fede. Una ragnatela che qui ha delle specifiche sembianze materiali, che prende il corpo di una location sperduta e articolata al suo interno. Solo che ad essere fitta non sarà tanto la ragnatela intesa come casa, ma la vicenda intesa come verità, da una prospettiva psicologica.

Il comparto narrativo parte quindi sgretolato, con i singoli pezzi del proprio tessuto sparsi razionalmente all’interno del proprio mondo, concretizzando solo successivamente una crescita graduale e progressiva, realizzata con intelligenza, verso la verità, rivelando così informazioni e pezzettini di trama di volta in volta, passo dopo passo, offrendo fotogrammi estremamente affascinanti e ricchi di allusioni interpretabili. Una trama costruita attraverso delle idee materiali, mai necessariamente simboliche o metaforiche, ma spesso e volentieri pratiche nella loro identità. Idee che fanno corpo ed anima e che costituiscono il contenuto del film. La trama è insomma frutto di un lavoro che vuole dare vita al thriller, al mistery solitario e alla suspense, senza interventi volgari del mainstream (scene di sesso gratuite o altro). Qui l’influenza dell’anti-cultura è stata tenuta ermeticamente fuori dall’opera, che è quindi caratterizzata da un intelligenza integra, raramente o quasi mai macchiata da interventi inferiori.

playing-a-gameAlcuni dei dettagli finemente disegnati in modo razionale e integrati nel tessuto, offrono idee narrative, riguardanti il perchè e il come della storia, potenzialmente molto affascinanti, portando lo spettatore ad escogitare una pletora di ipotesi tra le più inverosimili e disparate sulla realtà di quello che stà accadendo. A seconda della personalità dello spettatore, si possono davvero fantasticare le soluzioni più improbabili, che possono prendere la forma della fantasia di stampo immaginifico o di una più meta-realistica visione dei fatti, a seconda delle distinte caratteristiche di chi guarda il film. Il corpus narrativo è ricco di piccoli indizi sopra i quali la regia enfatizza e costruisce gradualmente il cammino della ragazza, che cercherà di liberarsi dall’uomo che l’ha incastrata nella sua ragnatela fitta e tenuta in piedi dall’imposizione paranoica e psicolabile dell’uomo, il quale tenta, a sua volta, di otturare qualsiasi possibilità sia di fuga che di scoperta del behind-the-truth.  La ragazza intraprende così il personale cammino verso la riconquista di una vita libera dall’imposizione di un’esistenza incubata e inscatolata, rifiutando di accettare la sottomissione pedissequa ad un disegno di vita prestabilito da qualcun’altro, rifiutando quindi le promesse e le verità presunte del suo rapitore-salvatore, che si mostra, a modo suo, sempre e comunque come un uomo fondamentalmente dalla parte del giusto, almeno secondo lui, mostrando comunque un bipolarismo efficace tra la morale apparentemente “corretta” e la follia psicotica.

10-cloverfield-lane-mary-elizabeth-winstead-bannerIl film, logicamente, sarebbe nulla senza la capacità attoriale dei suoi attori. E infatti John Goodman, interprete dell’uomo ambiguo (perchè, davvero, non si capisce quanto fosse davvero in buona fede o quanto fosse consapevole della sua follia), mette a segno una performance brillante, ricercata, attenta. Riesce davvero a far vivere le sfumature psicologiche del comportamento instabile, difettoso, socialmente pericoloso, che ora mette sicurezza e ispira fiducia, e ora mette ansia e paura. In lui vive una mente che alterna momenti di raziocinio buono ad altri di lucida follia psicolabile, forte di una struttura mentale fragile. Con la sua dote attoriale è stato capace di archiviare una ricchezza di dettagli, sempre puliti nella loro espressività, sulla personalità disturbata, tale da rendere credibile, vivo e reale il suo personaggio. La sua rabbia, la sua instabilità, sono latenti e ben visibili. La sua tranquillità apparente che viene poi tradita dallo scatto irato e instabile, sono frutto di una costruzione del personaggio che mette in scena le qualità interpretative dell’attore. Attore che si rivela quindi fondamentale per la produzione, giocando la parte più delicata della sceneggiatura di 10 Cloverfield Lane.

La pellicola è quindi, nel complesso, estremamente avvincente, dotata di una ricchezza tutta sua, capace di catalizzare l’attenzione sia emotiva che razionale. Oltretutto, può in aggiunta vantare su un design dell’ambiente adeguato, fine e discretamente “riempito”, graziato da una buona strutturazione della planimetria geometrica, semplice concettualmente ed efficace, e da un solido concepimento stilistico e visivo dell’abitazione, riuscendo quindi nell’intento di materializzare un “contenitore” di qualità capace di ospitare il contenuto di turno con armonia, grazie ad una mappa che riesce a contenere graziosamente ogni pezzo dello script, offrendo i suoi spazi ristretti e le sue claustrofobie d’annata come scenario predefinito.

Il film è forte, come già espresso, di un intelligenza logica e di una conoscenza culturale di genere, data la sua impersonificazione del thriller, che riesce ad avvolgere e a intrattenere il gusto dello spettatore, suscitando una costante ammirazione nel suo svolgimento. O, perlomeno, con me ci è riuscito. Ciò che mostra, a livello pratico, si potrebbe definire come una rielaborazione qualitativa e significativa, e non descrittiva, di un certo tipo di dottrina diramata lungo il corso della storia del cinema, attraverso opere che avessero una particolare personalità espressiva di genere. In sostanza, è chiaro che dietro questo concept vi sia, da parte dei suoi rispettivi autori, il gusto personale per il thriller, il noir e il mistery, assorbito, accresciuto e maturato dalle capacità degli stessi autori. Siamo infatti dinanzi un opera che non sfigura dinanzi i thriller più apprezzati della cultura popolare, divenendo quasi un opera di hitchockiana memoria.  

cloverfield-2“Purtroppo”, virgolette d’obbligo, la volontà di collegare come un consanguineo biologico questo episodio al suo predecessore (l’originale Cloverfield, del 2008), ha limitato il potenziale affascinante, quasi onirico, fitto di mistero e ignoto, di questo sequel e di molte possibili diramazioni arbitrarie che avrebbe potuto intraprendere se si fosse staccato, come una creatura stand-alone, dal suo diretto predecessore. Rivelando, alla fine, il motivo di tutto quanto accaduto, un motivo impostato per ragioni di familiarità col prequel e in quanto tale volutamente limitato nel suo territorio, 10 Cloverfield Lane si conclude facendo crollare tutti i sognanti castelli per aria che lo spettatore si è fatto durante la visione, distruggendo tutte le potenziali diramazioni fantascientifiche e immaginarie che si potevano intravedere attraverso i mille dettagli estremamente affascinanti che stavano rendendo la diegesi un must. Ecco che mille ed una ipotesi prendono vita nella mente sognante dello spettatore, venendo elaborate creativamente, senza rendersi conto che si stà edificando una trama complementare ed alternativa al film vero e proprio, dando forma a possibilità dentro le quali lo spettatore si sbizzarrisce in pieno sbocco creativo ed ecco che ci si ritrova all’epilogo con l’amaro in bocca. Non appena il film sbroglia la risoluzione del rompicapo e raggiunge la conclusione, infatti, il mistero viene rivelato ed ecco che a concorrere per il feedback conclusivo e finale dello spettatore di turno ci si ritrova con un più banale ed ovviale <<ah, ma allora è quello il motivo>>.

Tutto cede dinanzi l’ovvietà di un finale pre-impostato, come già detto, per obblighi di relazione col prequel, perdendo così lo sfruttamento del potenziale che erano riusciti a costruire per tutto il tempo, potenziale che viene in parte vanificato. Ciò non toglie, comunque, che l’effetto-epilogo è discreto e che la risoluzione compiuta si mantiene comunque solida, essendo stata trattata con la dovuta qualità, pur nei suoi limiti (imposti). Inoltre, questa risoluzione esplicitativa non inficia più di tanto sulla qualità complessiva del film che si rivela constante, intelligente e ispirato. Sempre pronto a far fantasticare lo spettatore, sempre pronto a rivelare un altro micro-pezzo di trama, capace di coinvolgere e di risucchiare al suo interno lasciando che la protagonista venga accompagnata da chi la guarda, portando l’audience a seguirla lungo i passi della sua vicenda, arrivando, talvolta, a tifare anche per lei.

10-cloverfield-lane-ecco-finale-originale-v2-260355-1280x720L’inaspettata sorpresa di ciò che non ti aspetti si rivela presente in questo film come il più classico degli archetipi “governativi” di narrazione, che per forza di cose non possono mancare. E il risultato è pienamente positivo. Questo perchè, quando meno te lo aspetti, il film si rivela con uno spessore creativo che convince della bontà di idee escogitate, facendoti sentire una percepibile sensazione di freschezza, sopratutto quando si arriva all’effetto-sorpresa e alla componente specifica dello script in cui i nodi stanno per venire sciolti. La caratterizzazione dei personaggi la reputo eccellente, non và oltre più di quanto si prefigge di fare e si rivela soppesata, forte di un equilibrio tra differenti modelli di personalità che coesistono con efficacia, evitando lo stereotipo di fabbrica che spesso e volentieri riempie il profilo psicologico e comportamentale dei personaggi in fin troppi film odierni. Altrettanto eccellente è la strutturazione graduale della sceneggiatura, già espressa precedentemente, che rifila una serie di ganci ben piazzati senza perdere colpi, nella sua omogenea e solida forma ritmica e grammaticale, capace di fare suoi e di rielaborare con ispirazione i migliori risultati del thriller d’autore e i migliori spunti intellettuali del genere, vantandosi quindi di una solida semantica. 

In conclusione, 10 Cloverfield Lane lascia, logicamente, le porte aperte per la continuity di questo franchise, pronto per vedere gli orizzonti del proprio universo allargati. Il film, nel complesso, è un thriller estremamente interessante; coinvolge, ripiegando in modo ispirato sulla triade di archetipi del mistery-thriller (ricerca, rivelazione, sorpresa) e offrendo un prodotto spiritualmente simile ma differente dal primo, offrendo una sorta di storia parallela alla time-line del primo, come un capitolo di espansione che mostra un punto di vista differente antecedente o in contemporanea (non ho ben capito se l’uno o l’altro) agli eventi dell’originale, senza snaturare l’offerta. Ricollegandosi, con effetto, al primo. Da vedere con la propria ragazza o con amici, rigorosamente a luci spente.


10 Cloverfield Lane

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  • Regia: Dan Trachtenberg
  • Sceneggiatura: Josh Campbell | Matt Stuecken | Damien Chazelle
  • Musiche: Bear McCreary
  • Cast: John Goodman, Mary Elizabeth Winstead, John Gallagher Jr.
  • Durata: 104 minuti
  • Anno: 2016
  • Box Office: $108.000.000
  • Like personale: 80%+
  • Edizione consigliata: blu-ray

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